R: R: R: la condanna è più "grande"

LadyMarica | 17.04.2013

nella tua storia io evinco qualcosa di diverso. Che una pena serve come scopo rieducativo e di riabilitazione. Anche etica. Forse partiamo solo da due punti differenti: io sono in guardia con chiunque e non solo con quelli che hanno delle storie del genere. Ma questo, secondo me, non c'entra col perdono che intendo io, c'entra con come si considera ontologicamente l'umanità.
Il perdono che intendevo io è solo un'azione che non sostituisce affatto la pena. Nella tua storia Sergio, non è stato perdonato, ha scontato una pena. Io, ora che so questa storia, lo considero "perdonato" non nel senso della grazia ma nel senso dell'interruzione delle azioni che ha commesso in passato. Perdonato come nuova possibilità, come una etichetta nuova. Non diversa da come consideri qualcuno, chiunque, che non sia mai stato un delinquente. Il suo passato conta, certo, per lui in primis ma secondo me non ne cambia la natura umana, non in questo caso, non in un così bel cambiamento. Compiere un'azione spregevole deve avere la stessa legittimità di compiere, dopo, un'azione stimabile. Non si azzera il passato, ma il cambiamento, sempre possibile, ha una valenza maggiore. Tutti possono migliorare e questo dovrebbe, sempre secondo me, essere alla base del poter migliorare del mondo.

Su Mandela, forse non mi son spiegata bene, ma è quello che intendevo. Il perdono non può arrivare intimamente, può arrivare solo come azione politica.

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