Personalmente

28.02.2013 00:20

E' stata una brutta giornata. Anzi, è il momento a non essere buono. Passerà febbraio e il mio umore, miracolosamente, mi riapparterrà. Febbraio è quasi sempre così. Un mese corto, solitamente in cui prendo decisioni, a volte anche buone, che però mi destabilizza.

Mi sento, molto concisamente, vulnerabile.
Tutto mi crea molta sofferenza o comunque riesce a toccarmi. Curioso per una che era convintissima di “non avere nulla dentro”.

Oggi ho, persino, pianto davanti l'amato psicologo Fa. E io, davanti ad altri, piango sempre molto poco e soprattutto scocciandomene molto. Se devo piangere piango in macchina.
Lui mi guardava con certi occhi pieni di meraviglia, un pizzico di sarcasmo, forse, e contentezza. La contentezza me l'ha detta, poi. Mi ha detto: “sono felice che tu pianga”. Non perché sia sadico, anche ovviamente, ma perché pensa che sia un miglioramento. Dice che quando sono entrata per la prima volta nel suo studio nemmeno parlavo, figuriamoci se mi sarei azzardata a piangere. Mi ha detto che di solito, quando mi chiede cosa provo a riguardo di qualcosa, io gli rispondo cosa penso. E dice che c'è differenza. Io non lo so, però lo ascolto sempre.

Gli ho raccontato del cosa soffrissi, ma non ammorberò anche voi, e le lacrime sono sputate senza consenso. E' bello, nel poi però, non nel mentre, riconoscere quanto conti il parlare. Ogni parola oggi trascinava una lacrima. Lo racconto non perché ne sia contenta (quanto ho cercato di non piangere forse potete immaginarvelo), lo racconto perché trovo che sia incredibile. Parlare sembra sempre solo esprimere qualcosa, che si sta già pensando, che si è già “provato”. Invece parlare ci aggiunge, a conti fatti, qualcosa a quel pensiero, ci mette di più. Non so se mi spiego.

Lui, che di solito è freddo e un poco stronzo, e lo sa perfettamente, è stato, oggi, di grande aiuto. Sono uscita persino sollevata. Non solo mentre piangevo non ha distolto lo sguardo imbarazzato (cosa che mi avrebbe fatta sentire patetica e fuori luogo) e nemmeno mi ha fissata insistentemente (cosa che mi avrebbe fatta sentire imbarazzata) ma ha rispettato il silenzio, guardandomi piano. Sembrava ascoltasse le lacrime, le valutasse. E' stato essere ascoltati anche senza niente da sentire. Vabbe'. A me la psicologia non piace molto in generale, la trovo una forzatura in tantissimi casi. Ma Fa., ha una buona capacità con me, sarà perché ci somigliamo e lo sappiamo pure.

Solo che lui dice più parolacce. Ma, a volte, mi fanno sentire meglio.

Oggi ne ha detta una bellissima. Mi ha detto di prendere coscienza che sono un essere umano, che gli esseri umani “fanno cagate” e che questo non significa certo fregarse, significa solo vivere con la consapevolezza che potrebbe pure andar male, senza farsi incatenare da quella prospettiva, del male, e vivere costantemente pensando di controllare l'intero mondo. Pensando che il mondo dipenda solo dal tuo grado di perfezione. Significa pensare di potersi bere uno sticazzi, insieme al caffé la mattina, ogni tanto, senza farlo sfociare in irresponsabilità e qualunquismo, ma come semplicissimo mantra a lasciarsi vivere. Forse vi sembrerà un po' una roba trita, ma attuata al caso in analisi me, è una roba centratissima. Fa. Mi consiglia, ed ha ragione, per esempio di eliminare qualche rito paranoico dei miei. Tipo controllare 4 volte di aver spento il gas e cose del genere.
Fa. Mi riduce sempre in cenere, quando ci vado. Oggi è stato meglio. Ma forse dipendeva anche da me. Quando sono arrivata nel suo studio, stava parlando, quasi litigando, con una collega. Io ero seduta nella sala d'aspetto e ho sentito i toni aspri, qualche frammento di discussione ma non ho individuato l'oggetto. Uscendo dalla porta e richiudendola le ha fatto una smorfiaccia che lei non poteva vedere. Poi mi ha visto e abbastanza preoccupato (anche se sapeva perfettamente che io ero lì) mi ha fatto l'occhietto. Mi ha dato, questo episodio, un senso di “ah, allora pure tu sei umano!”. Eppoi, in effetti, quella lì non è mai stata molto simpatica nemmeno a me: troppo magra.

Personalmente

R: lacrime

LadyMarica | 28.02.2013

credo anche io che non piangere sia un pudore restrittivo e che non faccia bene. Però sui sentimenti io sono un po' confusa e non so affrontarli, quindi temo, se piango, di non fermarmi più.

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Tetto | 28.02.2013

Guarda, ho avuto qualche caso, nella vita, in cui scoppiavo a piangere e non smettevo più. In queste situazioni sai cosa pensavo?: che non potevo credere che il nostro fisico potesse produrre così tante lacrime. Ti giuro, le sentivo scendere e non me ne potevo capacitare.
Ma una fine c'è sempre, stai tranquilla. A un certo punto ci si calma e tutto il corpo sembra rinascere. Una specie di catarsi il pianto...

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Silver Silvan | 28.02.2013

Ho una ferma convinzione. I fiumi di lacrime hanno sempre un nome e un cognome. E servono ad espellerli dall'organismo. Un occhio espelle il nome, l'altro il cognome. Per questo non si piange mai da un occhio solo!

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LadyMarica | 01.03.2013

ehm, io a volte piango da un occhio solo. Raro e quando non mi voglio far beccare :)

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Yaxara | 01.03.2013

Questo è geniale!

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LadyMarica | 01.03.2013

il mio psicologo, visto che siamo in tema, quando gli ho detto che il mio problema è non sapere se smetterò mi ha risposto che si smette per forza, come hai scritto tu :)

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Tetto | 01.03.2013

E quando smetterai ti scoprirai molto molto più forte, vedrai...

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LadyMarica | 01.03.2013

per il momento spero di continuare, in un certo senso
buona giornata

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Silver Silvan | 03.03.2013

Questa deve essere una versione alternativa del ben noto "cadì e ti rialzi". Ogni volta che lo sento mi viene un conato.

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