Utopismi e impatti

10.04.2013 14:24

Roma, via del corso. Il lungo città del commercio. Un luogo aperto al traffico, coi marciapiedi stretti e sempre pienissimo di persone. Persone che comprano, persone che guardano, turisti persi, turisti sulla retta via, artisti di strada. Costellato di negozi prestigiosi e di negozi da qualunque centro commerciale. Quanti sabati ci ho perso in gioventù, quando il mio livello di sopportazione era molto più alto come pure il mio interesse per gli smalti e le borse, che sovrastava quello attuale per il tabacco, i libri e le connessioni internet. Non ci mettevo piede da tanto tempo. O meglio, non ci mettevo piede per lo shopping da tantissimo tempo. Ieri, presa da un'ondata di ottimismo, ho proposto io, a una amica, di farci un giro per quei negozi.


Scendere alla fermata del Colosseo, accendere una sigaretta sulla via dei Fori Imperiali con un sole caldo e due chiacchiere mi stava piacendo.
Il piacere si è annientato proprio “all'entrata” di Via del Corso quando la folla ha iniziato a far una coda.

Implacabili i marciapiedi stretti e il doppio senso di marcia dei pedoni mi hanno, molto presto, portata allo sconforto. Spallate, piedi pestati, stress da slalom.
E sarò insofferente io, mica lo nego.

Ma il peggio è arrivato poco dopo. Quando un individuo con la maglia viola mi ha buttato per terra e si è messo a saltellare su di me. Metaforicamente certo.
Mi ferma in mezzo al marciapiede stretto chiedendomi di firmare una qualche cosa contro le droghe. Io gli sorrido ma dico che non mi interessa. “Ma come?” fa lui “si vede che tu sei per la cioccolata”.
Sorrido ancora perché la trovo una battuta carina. Poi lo guardo negli occhi e stringo la faccia, nelle mie note espressioni da cartone animato, fintamente arrabbiata e senza smettere di sorridergli gli dico di non scherzare sulle cose serie.
Ma lui non stava cercando di essere simpatico, no, lui voleva veramente farmi adirare. Non credevo di adirarmi più, oramai, per simili cose e invece, con mio sommo disappunto, mi adiro quando lui, mentre mi sto allontanando, mi grida dietro le spalle: “tanto si vede bene...”.
Dire che mi sono adirata è poco indicativo. Mi ha talmente sconfortata che poi, in ogni vetrina, specchio o curioso riflesso, ho visto un mostro inguardabile, una massa di schifo tale da farmi pensare costantemente: “ma perché mai, oggi, ho deciso di spegnere il computer e uscire di casa?”.
Poi mi è venuta in mente una battuta che mi fece un sacco di tempo fa un mediocre giornalista che un amico mi portò a conoscere. Un certo, spero sconosciuto, Aldo Chiarle. Quello disse alla sua segretaria: “apra anche l'altra metà della porta che sennò la signorina non ci passa”.
All'epoca mi straziò. E nemmeno ne parlai mai a nessuno. Oggi lo racconto senza problemi visto che all'epoca pesavo un inimmaginabile numero di chili in più di oggi. All'epoca era un argomento intrattabile con me, non riuscivo nemmeno a nominarle le parole dieta, cibo o peso, oggi, ne scrivo addirittura.

Non ho provato nessun vestito dopo la battuta del tipo, non ho guardato niente concretamente, addirittura ho pensato, in ogni negozio in cui sono entrata, che non avrei dovuto entrare, che “quelle brutte” non possono entrare in certi negozi. Ogni commessa mi sembrava volermi dire: “mi dispiace, lei deve aspettare fuori”. Ovviamente il tipo non poteva sapere che cosa avrebbe scatenato in me ma mica per questo non l'ho odiato a morte.

Sicuramente il tema mi ha ferita, sicuramente è anche il mio non avergli saputo dare una risposta buona ad avermi adirata, ma credo, a conti fatti, che sia anche il modo. Quella frase lanciata dietro le mie spalle, quasi gridata, quella botta sulle scapole, così, cattivamente e gratuita. La poca gentilezza, la cafoneria, le persone indelicate, mi fanno male. Nel caso specifico capisco che l'argomento abbia contribuito al male, ma io sono tanto cretina che spesso rimango molto male anche per le non gentilezze meno personali, sull'autobus, la metro o anche al supermercato.
E' una questione di umanità. La gentilezza mi esalta, la scortesia mi ferisce. E' una cosa che odio di me, perché non riesco a capire, razionalmente, cosa mi interessi se qualcuno è gentile o meno, con me o con gli altri che sia. Ma a conti fatti non riesco a staccarmene. Se vedo, che ne so, sull'autobus, un signore anziano (come pure mi è accaduto) che lascia il posto a sede a una signora la mia giornata, anche se io non centro niente, mi sorride. Secondo me è essere utopici come struttura mentale.

Spero, e allo stesso tempo non spero, che si guarisca.

Utopismi e impatti

bel post

pant | 10.04.2013

Per fortuna hai scritto subito dopo"metaforicamente",gia'la mia mente aveva immaginato te a terra e quel tizio che ti saltellava sopra!mi hai fatto sorridere e pensare.Un bacio gentile,la tua Pant.

R: bel post

LadyMarica | 11.04.2013

lieta del sorriso, ci speravo ;)

un bacio, cara

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